Roma, 18 nov. (askanews) – Serve una profonda riforma del sistema di cura dei tumori, potenziando i servizi territoriali. Un processo che ha avuto una spinta dal Covid, ma per il quale servono ingenti risorse, al momento non previste. E’ quanto emerge dalla prima giornata dei lavori del Cracking Cancer Forum 2021, organizzato da Koncept, che si è aperto oggi al Palazzo della Salute di Padova.
“Il tema dell’oncologia territoriale è improvvisamente e in maniera deflagrante arrivato all’ordine del giorno. Abbiamo in questo momento 3,6 milioni di casi prevalenti di soggetti con tumore, un numero enorme. Queste persone presentano bisogni molto diversi: dall’altissima attività assistenziale ad aspetti più sociali che sanitari. Tutti questi bisogni finiscono in un collo di bottiglia che è l’oncologia, che è solo ospedaliera. Oggi si caricano gli ospedali di funzioni a volte improprie che non consentono di poter svolgere al meglio funzioni proprie”, ha detto Gianni Amunni, direttore generale di Ispro, l’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica. “Dobbiamo ribaltare questa situazione e l’oncologia deve ripensare e dare gambe e sostanza all’integrazione ospedale territorio: nuovi setting assistenziali più ergonomici per i bisogni nelle diverse fasi. Con la pandemia abbiamo avuto una accelerazione non voluta a questi temi, adesso bisogna uscire dalla logica emergenziale ma dobbiamo davvero riscrivere, ripensare e dare gambe, risorse, cultura, strumenti a una nuova organizzazione, tenendo conto che non si può tornare alla situazione di prima”.
“In un sistema a rete il territorio purtroppo è abbastanza estraneo mentre alcune attività potrebbero essere spostate sul territorio. Il personale è assolutamente inferiore rispetto alle necessità dell’oncologia territoriale, problema che può in parte essere risolto con il sistema della telemedicina”, ha detto Giordano Beretta, presidente della Fondazione Aiom, Associazione italiana oncologia medica.
In questo nuovo paradigma, per Oscar Bertetto, presidente del Comitato scientifico dell’Associazione per la cura dei tumori in Piemonte, “i medici di medicina generale devono essere una parte attiva delle reti oncologiche, a partire dalla prevenzione primaria. Alcuni tumori, ad esempio, possono essere evitati con la vaccinazione contro il papilloma virus e contro l’epatite, e questo è un compito per i medici di famiglia. Lo stesso vale per la prevenzione secondaria, gli screening, e la diagnosi tempestiva. Certo le risorse sono poche, ma intanto possiamo fare qualcosa: se le utilizziamo meglio otterremo risultati migliori, anche se non ottimi”. Anche per Livio Blasi, past president di Cipomo (Collegio italiano dei Primari oncologici medici ospedalieri) “i medici di medicina generale devono far parte integrante dei percorsi di cura. Abbiamo tanto da fare ma non possiamo tornare indietro. Il problema fondamentale sono le risorse” ma anche le persone, dato che “le scuole di specializzazione forniscono pochi oncologi, soprattutto pochi infermieri”.
A proposito di risorse, per Fiorenzo Corti, vice segretario nazionale Fimmg, Federazione italiana dei medici di medicina generale, per implementare questo processo “manca il finanziamento: ora arriveranno i 112 miliardi del Fondo sanitario nazionale, ma con quei soldi penso proprio che non ce la faremo. Ho letto la bozza della legge di bilancio e non ho visto niente”.La riforma del sistema sanitario, però, non deve riguardare solo il territorio, ma tutta l’organizzazione. “La medicina territoriale va rifondata perché in molte regioni non esiste – per Francesco Cognetti, docente di oncologia medica alla Sapienza di Roma -. La spesa sanitaria, per usare un eufemismo, è troppo sobria, e lo scarso finanziamento mette in crisi territori anche virtuosi. All’arrivo del Covid, gli ospedali erano deboli, viaggiavano con posti letti ordinari molto al di sotto della media europea, un numero di medici enormemente più basso e di infermieri ancora più basso e la crisi è stata inevitabile. La medicina territoriale va riformata ma anche agli ospedali serve una riforma radicale, ed entrambe devono procedere con la stessa velocità”.